I dazi imposti dall’amministrazione Trump stanno generando profitti record per il governo USA, ma dietro il guadagno immediato si nasconde un effetto collaterale pesante: prezzi più alti, tensioni nelle imprese e calo della produzione manifatturiera.

I dazi di Trump: un affare miliardario con effetti collaterali
Secondo gli economisti del Budget Lab di Yale, l’imposta media sulle importazioni negli Stati Uniti è salita al 18%, rispetto al 2,4% precedente al ritorno di Trump alla Casa Bianca. Il Tesoro americano ora incassa quasi quattro volte più entrate tariffarie rispetto a un anno fa, grazie soprattutto ai cosiddetti “dazi di emergenza” al centro del caso esaminato dalla Corte Suprema.
Nonostante le dichiarazioni ufficiali secondo cui i costi sarebbero a carico dei fornitori stranieri, sono gli importatori americani – e in ultima analisi i consumatori – a pagare il conto. I rincari si fanno sentire su prodotti di uso quotidiano come abbigliamento, mobili e vino, contribuendo alla ripresa dell’inflazione, che a settembre ha raggiunto il 3%.
Un importatore dell’Ohio riassume il problema: “È una tassa. E finisce nel prezzo che tutti pagano per i beni”.
Importatori nel caos e industria in difficoltà
Le oscillazioni delle aliquote, in alcuni casi tra il 30% e oltre il 100%, hanno creato un “caos tariffario” per gli importatori che pianificano gli ordini con mesi di anticipo. Secondo un rapporto dell’Institute for Supply Management, la situazione è “imprevedibile e paralizzante”.
Nonostante l’obiettivo dei dazi fosse stimolare la produzione interna, i dati mostrano l’effetto opposto: oltre 40.000 posti di lavoro in meno nel settore manifatturiero da aprile, e l’indice ISM dell’attività industriale in calo per l’ottavo mese consecutivo.
Come spiega un produttore di macchinari: “I prodotti che importiamo non sono facilmente fabbricabili negli Stati Uniti, quindi i tentativi di reshoring non hanno avuto successo”.
La sfida alla Corte Suprema e il possibile piano B
Le tariffe di emergenza sono ora al vaglio della Corte Suprema, dopo che diverse aziende e stati hanno accusato l’amministrazione di aver ecceduto i propri poteri. Trump si è basato su una legge degli anni ’70 che non menziona nemmeno i dazi, e molti giuristi ritengono che la sua applicazione sia eccessiva.
L’amministrazione avverte che una bocciatura della Corte sarebbe “disastrosa”, sostenendo che “con i dazi siamo una nazione ricca; senza dazi, una nazione povera”. Tuttavia, le entrate doganali rappresentano solo il 6% del totale federale, e il loro aumento è stato compensato dal calo delle imposte societarie.
Anche se la Corte dovesse dichiarare illegittimi i dazi di emergenza, Trump dispone di altri strumenti legali per reintrodurli, come conferma Kathleen Claussen, docente di diritto alla Georgetown University: “Potrebbe replicare un sistema simile con altre leggi del Congresso”.
Conclusione
I dazi di Trump continuano a essere un’arma a doppio taglio: fanno entrare miliardi nelle casse statali, ma frenano l’economia e pesano su imprese e cittadini. L’esito del caso alla Corte Suprema potrebbe ridefinire l’equilibrio tra protezionismo e competitività negli Stati Uniti.
Per approfondire il tema, consulta le analisi su The Brookings Institution e Council on Foreign Relations.
